Jazz

Racconto del 2015, inedito - Lettura performativa tratta dal reading "Penne all'arrabbiata"

Non riesco a togliermi dalla testa l’immagine che ho di te. – il ricordo di Gianni-scappato-come-un-coniglio è una ferita ancora aperta che sanguina nei pensieri truculenti di Ninetta ogni notte.

– Saprei essere dolce e gentile, sapresti bene come conquistarmi e io come tenerti per sempre con me. – gli diceva. – Finché un giorno ti scoprirò lontano, o peggio, diverso dalla mia idea di perfezione. Finirò forse per sbottare di rabbia, di frustrazione, con la voglia di violentarti, di farti del male, di tarpare ogni tuo slancio, ogni tuo anelito di vita. Per distruggerti lentamente. – gridava mentre facevano l’amore. – Dimmi, Gianni, vuoi vivere davvero questo amore così assoluto, doloroso con me?

–  Non ho mai desiderato altro – sembrava volesse prenderla sul serio. Prima di mollare tutto e andarsene via.

Io e Nina ci siamo conosciuti su facebook, nella danza schizoide di un mi piace clandestino. Anch’io ero reduce da una storia e avevo voglia soltanto di una consolazione. Entrambi scrittori scrivevamo su un forum di editoria.

La sua esuberanza esplodeva ogni giorno attraverso frasi pungenti, come orgasmi multipli, dalla testa allo schermo. Era solita postare canzoni glamour rock, musica jazz, oppure estratti di qualche grande autore della letteratura accompagnati da immagini di quadri d’autore. Si faceva notare [Ninetta Bandecchi] in mezzo ai tanti profili anonimi, o peggio molesti, di quelli che lasciano commenti come bottiglie di birra scolate sulle bacheche altrui.

Mi contatta dopo un ennesimo like.

– Bevi brandy tu?

– Più il whisky.

– È tipico maschile. A me piace parlare di cose liquide. – e conclude: – La vita per me è liquida. È tutto uno schizzare e colare, non trovi? – era l’espressione più perversamente eccitante che avevo mai letto in una chat. Fino ad allora.

Ninetta era così: lasciva e letteraria. Il suo profilo era diventato tappa fissa ogni sera tornato a casa dal lavoro.

Ninetta faceva mille domande ma raccontava poco di sé.

Una sera la ricordo particolarmente nervosa: giocava lagnandosi  e ogni due battute lamentava un dolore tremendo alla pancia. Alle donne era toccata la sciagurata sorte di dover sanguinare dal proprio sesso. Anche Dio è maschio. Ed ingiusto. Diceva. Che ne sapete voi, che ve ne state lì a schizzare-e-colare soltanto panna da cucina?

Mi faceva divertire.

Bella e sboccata.

Una scrittrice fantastica.

– Facciamo in questo modo, – le ho scritto una sera, – domani mi chiudo in un locale a Campo de’ Fiori e tu mi vieni a cercare. Starò lì con la Moleskine a scrivere di noi. Tu vieni, ti siedi al tavolo, ti fai offrire da bere. Convincimi che il brandy è migliore del whisky.

Ci eccitava quella farsa. Giocavamo nell’indossare una maschera, interpretavamo ruoli ben definiti.

Lo scrittore.

La musa.

L’uomo difficile.

La donna facile.

Così mi sono barricato un intero pomeriggio come un ostaggio. Ho scelto un locale di cui conoscevo il proprietario, ho chiesto di mettere del jazz, naturalmente, in onore di quei link da blue note.

Scrivevo, sorseggiavo, trattenevo la voglia di uscire e fumare un toscano. Non volevo rischiare di farmi trovare fuori e rovinare tutto. Passarono così più di due ore. Leggendo qualche pagina di Saramago, massaggiavo la testa rasa. Tutto per ingannare quell’attesa eccitantissima.

– Posso? – finalmente arriva e quasi non la riconosco. Ninetta si toglie il soprabito sbattendomi in faccia i suoi seni prosperosi, lasciandomeli comunque intravedere per tutto il pomeriggio attraverso una maglietta finissima.

Prima di sera, sono già a casa sua: una stanza da letto dalle pareti scure, indumenti buttati dappertutto, la musica di Coltrane che risuona dalle casse di uno stereo minuscolo. Mi vengono in mente cose strane. Cinquanta sfumature di palline grigie in PVC da infilarsi su per il culo, mascherine merlettate del tipo Eyes Wide Shut.

– Bendami. – mi fa. – Anzi no, prendi questo! – mi passa una specie di gatto a nove code, sorridendo. Finalmente si spoglia. Mi chiede di possederla immediatamente, così, da tergo. Senza neanche accorgermene, finisco per colpirla ripetutamente sulla schiena.        

– Di più! – grida. – Oggi sono stata cattiva, devi sculacciarmi più forte.

Ed io che continuo a colpirla. A colpirla e a frustarla e a pestarla e a fustigarla e a percuoterla e a schiaffeggiarla e a malmenarla e a massacrarla… Sulle natiche. Sulle spalle. Anche in faccia. Ancora sulla schiena.

Vedo che le piace, e questa cosa mi eccita moltissimo.

Sento che mi manca davvero poco per venire, cerco di pensare ad altro. È una delle scopate più intense della mia vita. “Guarda là”, grida Ninetta. Mi volto verso il punto indicato, ma vedo soltanto alcuni ragnetti sbucare fuori da un anfratto delle pareti, quasi non volessero perdersi quello spettacolo di carni consumate. Anche i lamenti di un saxofono partecipano alla festa condendo l’atmosfera orgiastica del nostro macello. Adesso Ninetta grida più forte, graffia con le unghie le lenzuola. Di più, grida, di più. Prima che anch’io riesca a venire, lei mi fa sgusciare fuori dal suo corpo, mi mette supino, mi toglie il lattice-tortura e scivola con le ginocchia bitorzolute ai piedi del letto. Abbasso gli occhi e vedo-e-non-vedo quel che resta di me scomparire tra le sue labbra. Sento di potermi perdere nella profondità della sua gola di fuoco. Mi morde, quasi a bloccare il mio impeto, si muove lentamente. Troppo lentamente per lasciarmi venire. Rimane in apnea.

Mi morde ancora, forte. Fortissimo. Si alza di scatto con la testa. Senza mollare la presa.

Vedo i suoi denti insanguinati. Soltanto un attimo dopo avverto quel grandissimo dolore.

– BASTARDA! – comincio a gridare mentre mi rantolo nel letto. – BASTARDA! – afferro la prima cosa che trovo, una mascherina stile Rondò-veneziano-del-cazzo, e faccio per tirargliela contro. Vorrei colpirla, frustarla, pestarla, fustigarla, percuoterla, schiaffeggiarla, malmenarla, massacrarla per davvero. Mi sento soffocare, come in un romanzo di Palahniuk.

Il sangue inizia a zampillare dalla mia carne recisa. 

Rosso.

Vivo.

Ninetta mi si avvicina per un’ultima volta mentre mi dimeno senza pace. Mi carezza la testa, mi dice “Coniglio-come-tutti”. Io cerco soltanto di scalciarla via, lontano. Urlando. Bestemmiando. Chiedendo aiuto. Infine la vedo ridacchiare con le labbra poggiate alla cornetta, e mentre il mio sesso schizza-e-cola dappertutto, la sento chiamare un’ambulanza.

Continuo a sanguinare contorcendomi ancora dal dolore, impregnando le lenzuola del rosso acceso di quel liquido purissimo.

Non sono riuscito a venire, ma svengo.

Miles Davis e la sua tromba fanno un baccano infernale.

Ninetta si sciacqua la bocca sotto l’acqua corrente del lavandino. Attende l’ambulanza versandosi un bicchiere di brandy.

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