Emozioni interrotte in aeroporto (Arrivederci Banana)

successivamente inserito nel libro 
"BUON TEMPO. 7 racconti per 7 giorni della settimana" 
Edizioni Haiku, 2022 

Banana guarda al di là del vetro.

La sala d’aspetto dell’aeroporto in cui è rinchiuso è un caleidoscopio di pensieri e di sospiri trattenuti, di messaggi e di chat dagli smartphone. Di attimi sospesi. Ci si annoia sempre nelle sale d’aspetto, basta un istante di troppo a far perdere di credibilità qualsiasi emozione, qualsiasi attesa. Ma c’è un motivo perché li chiamano “non luoghi”.

Banana non avrebbe troppo tempo da perdere, ma si è convinto che riabbracciare il suo amico è un motivo più che valido per saltare un giorno in ufficio. A dirla tutta, non è la prima volta che Sorcio gli scrive di essere di ritorno: già il mese scorso lo aveva pregato di raggiungerlo a Orly; la settimana prima doveva essere ancora a Charles de Gaulle, o forse a Beauvais… Banana lo attenderebbe comunque in qualsiasi porto, aeroporto o stazione ferroviaria che la Francia possieda.

Dal vetro s’intravedono velivoli partire dalle piste e atterrare, segnaletiche d’asfalto a macchia d’occhio, carrelli che trascinano bagagli e un andirivieni di persone che, stipate in minuscole navicelle, raggiungono con affanno quelle scatolette di metallo con le ali. Tutti sono diretti verso chissà quale meta e chissà quale direzione.

La destinazione dei pensieri di Banana è la faccia smunta di Sorcio, quell’ebete sorriso irresistibile a cui rispondere con la gioia goliardica di dire: Finalmente, brutto stronzo! Ora mi racconti tutto

Il fatto, però, è che Sorcio ancora non si vede, nonostante almeno tre aerei provenienti da Barcellona siano già atterrati da quando Banana si trova lì.

Banana non sa più come ammazzare il tempo. Pensa agli aerei in volo e immagina storie tragiche sull’impossibilità di scendervi. Magari qualcuno avrà sbagliato destinazione, o si è reso conto che partire è stato il più grande errore della sua vita, quando però è troppo tardi, quando non ci si può fare più nulla. Né si può più tornare indietro. Perché da un aereo in volo non si può scendere in alcun modo. Forse soltanto gettandosi con il paracadute. Chissà se Sorcio lo farebbe davvero…

Dai suoi airpods partono random alcuni brani di Parachutes, e per Banana è come un sollievo. C’è una canzone nel disco dei Coldplay che gli piace particolarmente: Sparks, “scintille”. Gli ricorda una ragazza conosciuta a Place de la Nation qualche anno prima, una tipa stravagante per cui Banana prova ancora una certa dose d’ingiustificata nostalgia. Ripensa ad alcuni dettagli, come dire, “scandalosi” di quella vecchia relazione, e di certo non si sente nemmeno per un istante in colpa se quei pensieri clandestini urtano la fiducia che Fanny ripone in lui e nel loro amore.

La sala d’aspetto di un aeroporto, del resto, è un non luogo – lo abbiamo detto – ed è più che umano concedersi qualche licenza e volo pindarico: perdersi nella messa in scena di un vecchio fantasma in gonnella. Banana non è il primo individuo sulla faccia della Terra, e non sarà certamente l’ultimo, a tradire la propria ragazza con la fantasia.

Le cuffie intonano intanto le prime note di piano di Trouble, “problema”, e così Banana fugge con il pensiero, ancora una volta, in direzione di Sorcio; lo immagina seduto su un aeroplano, lui che ha sempre avuto la testa tra le nuvole, ora si ritrova interamente immerso tra le masse di vapore verticali. Chissà quali cumuli di stronzate nella sua mente… Cumuli, cumulonembi… Ma non vede comunque l’ora di riabbracciarlo, maledetto diavolo.

Spotify interrompe la musica per mandare in loop una pubblicità, al che Banana fa una smorfia inaspettata. NON S’INTERROMPE UN’EMOZIONE: lo diceva Fellini per contestare l’abuso di interruzioni pubblicitarie durante la trasmissione dei film, ma erano gli anni Ottanta del secolo scorso. Quel secolo è già passato e Banana trasecola, – Dio si scusa per il secondo, ravvicinato, gioco di parole, – mentre di buon grado accetta la vittoria degli spot.

Don’t Panic. E subito dopo Yellow.

Pausa.

Banana si alza di scatto e si stretcha, poi respira profondamente. Si guarda attorno. Si gira e fissa la seggiola dove era poggiato il suo culone fino a qualche secondo prima. Perché anche i culi, negli aeroporti, non hanno il diritto di godersi un’emozione tutta intera: non c’è posto per starsene comodi nelle sale d’attesa, sono non luoghi pure per il sedere.

Banana cammina avanti e indietro, conta i minuti, ripensa alle ore e a tutte le unità di misura con le quali definisce il suo tempo trascorso ad attendere il tempo. Aspetta Sorcio, naturalmente. Mentre per l’ennesima volta Spotify gli ricorda di poter comprare una scopa elettrica, Banana termina di ascoltare il suo disco. Ora la playlist gli propone i Cigarettes After Sex, tra i preferiti di Fanny del loro account di coppia. Lui switcha e passa oltre, fino ad arrivare a un altro gruppo che conosce appena: l’album è Black Sands, loro i Bonobo. Spotify gli concede finalmente trenta minuti di musica senza interruzioni, ed è un premio per aver ascoltato una pubblicità di assorbenti fino in fondo.

Banana s’innervosisce mentre ascolta i Bonobo, si accorge che sta perdendo la sua personalissima battaglia con la tecnologia, e si sente in trappola come in quel romanzo di Dave Eggers che non ha mai finito di leggere. Non c’è tempo però per le emozioni; forse si è smarrito in connessioni neurali sin troppo ardite. Va a pisciare.

Il bagno di un aeroporto è di per sé un non luogo all’interno di quel non luogo per antonomasia che lo contiene. Si paga per entrare, ed è la promessa di un’igiene e di una cura soltanto apparenti. Ci si lava le mani in entrata e in uscita, ci si igienizza in quel gesto ripetuto almeno due volte, come un atto sacrale di purificazione. Nonostante il bianco laccato splenda del sorriso ammiccante di Monsieur Propre, nei cessi degli aeroporti si respira spesso l’olezzo mistico… che è il tipico odore di una fogna algerina. Sì, il tizio pelato della réclame gli sta facendo l’occhiolino, o è forse soltanto un passeggero in attesa del suo imbarco, con intenzioni moleste.

Banana torna in sala, si rimette seduto. Ripensa di nuovo alla tizia conosciuta a Place de la Nation. Si chiamava Simonne. L’aveva corteggiata in modo impacciato, classico di Banana, e lo stesso Sorcio gli aveva raccomandato più di una volta di non correrle troppo dietro; sembrava un’ironia, detto da lui. Dopo una serata intera a chiacchierare, l’aveva ricontattata su Facebook: nella distanza di un social, Banana aveva sempre reso meglio, e anche in quell’occasione si era sentito molto meno maldestro. Così, lui e Simonne si erano messaggiati per settimane in un modo più che innocente; forse anche lei non amava troppo gli slanci e vivere nella confort-zone di uno schermo le restituiva la tranquillità di un platonico Vorrei farlo con te ma ancora non posso. Quando finirono per rivedersi e uscire, lei lo inchiodò per ore in un pub di Belleville a raccontargli tutto (ma proprio tutto) sul suo ex ragazzo. La tattica del fine ascoltatore. Tradotto: Banana era il solito coglione. Sorcio lo scherniva per questo: Ti sei sempre lasciato scappare le donne come fossero scoregge, gli aveva detto l’ultima volta a Barcellona, ed era talmente inviperito. Chissà come gli sarà venuta… Sorcio, a differenza sua, è un vero vulcano, fumantino d’idee, e spesso erutta gioiellini aforistici come questo. Fumantino sì, ma diversamente da Banana, Sorcio non ha mai la necessità incontrollata di fumare… Stanno sottolineando la cosa gli assoni cerebrali del nostro Bananone, mentre gli scoppia in cuore una gran voglia di farsi una profondissima tirata. Soltanto è che, in aeroporto, davvero non si può. E allora addio Gauloises. Dannati non luoghi del cavolo! Che razza di posti sono mai questi? E quanto cazzo ci mette Sorcio ad arrivare!? Conne!

Banana guarda con invidia e sdegno una tipa con la sigaretta elettronica seduta di fronte a lui. Chissà se se la sta gustando davvero, o se quello spippettare è solo una sorta di autosuggestione: fumare la plastica in un ambiente di plastica. Con invidia guarda anche un bambinetto che lecca un Chupa Chups marroncino alla cola, la sensazione dev’essere più o meno la stessa: ogni età ha il tipo di illusione che si merita.

Banana getta lo sguardo al tabellone arrivi.

Un nuovo volo da Barcellona sta atterrando proprio adesso. È finalmente arrivato il momento di riabbracciare quel disadattato, di rivederlo dopo quasi un anno. Com’è nel suo stile, borbotta Banana, avrebbe potuto fargli sapere almeno l’orario. Invece niente, Sorcio lo ha chiamato dicendogli soltanto: Vieni a prendermi domani a Charles De Gaulle. È urgente. E ha riattaccato. Che poi… Cosa dà a Banana la certezza che Sorcio arrivi proprio da Barcellona? Per quanto lui ne sappia, il demente potrebbe pure essere partito da Saragozza o da Valencia, lo sa che si è spostato in lungo e in largo per la Catalogna e la Spagna orientale nell’ultimo periodo: Bernat “Pesciolino” gli ha detto che con il lavoro Sorcio si sta arrabattando alla bene e meglio. Ma che disastro umano! Banana getta nuovamente lo sguardo al tabellone: un aereo da Valencia atterrerà a Parigi fra meno di mezz’ora; mentre da Saragozza, al momento, non è previsto nessun arrivo. Ma con lui è talmente stupido fare previsioni: per quanto lo conosce, quell’invasato potrebbe aver fatto pure scalo e arrivare da Roma, da Mosca o da Città del Capo. Persino da Ulan Bator! Banana si rassegna, placa la sua smania, poi telefona a Fanny. Mentre la avvisa di non aspettarlo per cena, il pensiero ritorna per la terza volta a quel gran pezzo di Francia che era Simonne…

Studiava psicologia e lui, cretino com’era, le aveva fatto chissà quante volte quelle solite battutine: che lei gli leggeva nel pensiero… che lo voleva psicoanalizzare… e altre stupidaggini simili. Stranamente, Simonne non lo aveva cassato neanche in quelle occasioni. È vero, la storia con il suo ex era lunga e così ricca di dettagliatissimi particolari – particolari insignificanti, s’intende, ma che qualcuno doveva pure stare ad ascoltare! – ma Banana, dopo due o tre serate in quel di Belleville, aveva finito per conoscerli praticamente a memoria.

Quella Simonne le ricordava un personaggio di un romanzo di Murakami: la vivace ed effusiva Midori, che nel libro era sì fidanzata ma che tuttavia non perdeva l’occasione di filtrare con… con… com’è che si chiamava? Banana ce l’ha sulla punta della lingua ma non riesce a ricordarselo. Norwegian Wood era invece il titolo del libro. Proprio come la canzone dei Beatles. Anzi, era dalla canzone che Murakami aveva tratto il nome. Banana la cerca su Spotify, scalza la pubblicità per quel che riesce, l’ascolta. Il suono del sitar gli fa venire in mente che Sorcio, per quanto anche Dio ne possa sapere, potrebbe pure arrivare da Nuova Delhi. O da Mumbai. Oppure, perché no, proprio dalla Norvegia. Del resto, aveva una certa predilezione per le ragazze del nord.

Anche Simonne era del nord, ma della Francia: originaria di qualche posto meraviglioso sulla costa normanna. Normandia, e non Norvegia. Comunque gente di mare: Banana ha sempre avuto un debole per chi ha potuto vivere l’infanzia in riva alle onde, tra i gusci di ostrica, felice, a giocare. Ogni tanto la stessa Simonne intervallava i suoi racconti strappalacrime (o per meglio dire, “stracciascatole”) riguardanti il suo ex-amore-di-tutta-una-vita – Robert, gli pare – per ricordare i momenti di quando era bambina e si trovava con la madre in spiaggia. Decisamente più interessanti. Banana ha ancora in mente i suoi occhioni verdi salsedine: si era quasi innamorato di quella dea cresciuta tra i molluschi di mare, l’unica perla nata al di fuori dai gusci, diceva. In quattro mesi avevano fatto l’amore appena cinque o sei volte. Simonne teneva a guinzaglio i suoi ormoni, cadenzando serate dolci in casa a guardare film a momenti in cui gli doveva assolutamente parlare, anche se era notte fonda e faceva neve, e in ogni caso una panchina gelida nei pressi di Gare de l’Est era per lei il posto più adatto al mondo! Perché doveva condividere con lui tutta la sua enorme malinconia, l’accentuato bovarismo d’altri tempi, l’insicurezza di essere una classica millenial ma incapace di guardare al futuro e allo stesso tempo così radicalmente appiccicata, proprio come un’ostrica (senza perla) allo scoglio, a un meraviglioso passato ormai perduto. Era eccentrica e assolutamente letteraria, la Simonne, non a caso una patita delle canzoni di Brassens. Le canticchiava e con la chitarra suonava benissimo Les amoureux des bancs publics, e anche se non lo era, si atteggiava a parigina doc. Si mostrava raffinata. Quando facevano l’amore però non c’era nessuna vie en rose; era una specie di seduta psicoterapica in salsa carnale: frustrazione, tentativi di punire o di essere punita, ricatti, premi, punizioni. Un bondage poco convinto. Il sesso con le psicopatiche è il migliore dei sessi possibili, gli diceva sempre Sorcio. Banana non lo sapeva, e di certo non ne era convinto, fatto sta che rimase ammaliato più del dovuto da quel tira e molla con la bipolare. Che stupido che sono stato, ci ride ora rimuginandoci sopra, Ma Simonne era davvero troppo bellina.

Quel mix di musica proveniente dal passato, di odore di caffè solubile, di metallo asettico e di mascherine monouso aveva fatto riemergere la splendida silhouette di quella ragazza malinconica, schiva, chiusa proprio come un’ostrica, che però Banana aveva pensato di poter sul serio amare, dolcemente, per tutta la vita.

L’ennesimo aereo da Barcellona è bello che atterrato, eppure di Sorcio non si vede nemmeno l’ombra. Banana prova a scrivergli ma niente, il suo amico è restio ai tracciamenti di ogni sorta, decisamente recalcitrante nel farsi reperire.

Le 18 e 45. Sono quasi sette ore che Banana ha preso residenza e domicilio all’interno del Terminal 1 dell’Aeroporto Charles De Gaulle. I gendarmi e gli addetti aeroportuali ormai lo salutano come fosse un loro collega, ogni tanto gli si accostano per controllare che tutto vada come deve, e sorridono, pensando a quanto sia strambo questo biondone dinoccolato che vive chino, ansimando, con l’iPhone attaccato alla presa sotto il sedile.

Un omone di nome Jordi gli si avvicina all’improvviso subito dopo: gli dice che lì non può più restare e lo invita a spostarsi. Ché deve pulire.

A proposito, adesso il nostro comincia davvero a sbuffare: il browser dello smartphone si è bloccato, e così Banana tira fuori la carta per ricaricare il credito del Wi-Fi aeroportuale. Deve attendere le notizie dal re di tutti i debosciati. È un anno che non ci vediamo… ma non mi sei mancato affatto, borbotta.

Mentre digita l’ultima cifra del codice di sicurezza, e mentre preme “Acquista”, una serie di notifiche lampeggiano furtive dallo schermo: “Non sono riuscito neanche oggi”, è Sorcio che gli sta scrivendo, “Ma domani ti aggiorno”. Quindi conclude con“Hasta la proxima vez!” e “Arrivederci Banana”. Poi ritorna Offline.

Che cosa?! Cosa diamine…

Banana stavolta s’incazza. Eh sì. S’incazza di brutto.

Capisce che quella rabbia non la potrà facilmente arrestare. Altro che interrompere un’emozione, dannato Sorcio, ma quante ancora me ne dovrai far passare?!

One thought on “Emozioni interrotte in aeroporto (Arrivederci Banana)

  • euphoria
    Ottobre 6, 2022 at 9:33 pm

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