Lezioni di vita

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«Colpiscilo. Forte. Ti piace?»

«Così?»

«Tu non preoccuparti se grida aiuto o se piange. Imparerà ad amare il suo dolore. Se lo colpisci bene però. Tu pensa solo a essere precisa: devi raggiungere il centro esatto dei testicoli. E non avere paura, no Luana, non temere di fare troppo forte. Deve mancargli il respiro, altrimenti lo spasmo non sarà abbastanza intenso da dominarlo. Spostati, ti faccio vedere io. Mettiti in ginocchio tu! – gli ordina. –  Guarda Luana, così!»

«Wow! Tu sei un vero fenomeno.»

«Ti piace? Ti piace o non ti piace prendere un uomo per le palle? E che cosa provi, Luana? Com’è che ti fa sentire?»

«Non lo so… Sento un forte senso di eccitazione.»

«E poi? E poi cos’altro?»

«Potere.»

«Ecco sì, brava. POTERE. È proprio questo. È proprio così. Molti uomini si consegnano autonomamente, scelgono liberamente di farsi dominare in questo modo. Di farsi prendere a calci nelle palle.»

«…e ce ne sono molti?»

«Ci sono molti depravati. Malati. Tu che sei esperta, che ne pensi?»

«Bah sì, è una forma di feticismo. Tecnicamente una parafilia… Comunque, sì, in un certo senso sono malati…»

«Tu m’insegni: chi non lo è? Ognuno ha le proprie malattie, Luana. Anche io e te. Come tu godi e ti nutri di questo potere malato, loro godono e si nutrono per una sensazione di abbandono. A te piace dominare, a loro piace essere dominati.»

«Io ho soltanto da imparare da te…»

«Basta parlare adesso! Colpiscilo ancora, e fammi vedere. Vai decisa. Come ti ho fatto vedere io. Ma cos’è quello sguardo, Luana? Hai tentennato? Non devi. Colpisci!»

«È che pensavo… Cioè, non potremmo provare su un manichino? Sta davvero piangendo, guardalo. E grida come un agnello che capisce di stare per essere sgozzato. Io non riesco…»

«Cos’è? Quel senso di potere si è già sopito? Dov’è il gusto dell’autorità? Stai nutrendo misericordia per uno schiavo? Ricordati che lo schiavo che piange va soltanto colpito più forte. Lo schiavo che piange deve soltanto essere educato meglio. Grida? Guarda, si fa così!».

Un calcio chirurgico raggiunge l’inguine dell’uomo che si lascia cadere, sofferente, pancia a terra. Alza un braccio in segno di resa mentre con l’altro si tiene forte, a proteggersi, lo scroto.

«Ma dov’è che hai imparato?»

«Krav Maga.»

«Cosa?»

«Un’arte marziale israeliana.»

«Ah sì, conosco.»

«L’ho imparata per legittima difesa.»

«Altro che legittima difesa questa.»

«Adesso basta però. Mi sono rotta il cazzo. Grazie Alessandro, alzati pure, puoi andare adesso. Anzi no, portami una birra. Tutto bene lì sotto? – sorride compiaciuta. – Prenditene una anche tu, se vuoi, te la sei proprio meritata. E fatti una sega se ti sei eccitato abbastanza. Prima però portami la birra. Una Nastro. Ne vuoi anche tu?»

«No grazie, Lucrezia. Quanto ti devo per la lezione?» armeggiando nel portafoglio.

«Che ore sono? Quanto abbiamo fatto stavolta?»

«Poco più di mezzora.»

«Dammi 25 dai. Sicura che non vuoi una birra anche tu? Guarda che ti fa bene dopo questa fatica. Reidratati. Alessandro portane una anche per Luana. Dai…»

«No no, sul serio, Lucrezia. Grazie.»

«Vuoi un bicchiere di vino allora? Un caffè?»

«Ti ringrazio davvero, Lucrezia. Devo scappare. Poi preferisco rimanere lucida… Devo guidare. Mi asciugo soltanto un po’ e… – prende l’asciugamano per togliere via il sudore. – Lo metto in lavatrice? Ho un paziente fra meno di un’ora. È una seduta importante oggi, siamo arrivati al giorno in cui si è dichiarato…»

«Ma chi è, quello che si smanetta con le foto dei piedi?»

«Lui.»

«Sai, una volta ho mandato anch’io delle foto su Telegram… Ma mi annoia fare soldi così. Preferisco invece…»

«In realtà è un bravissimo musicista. – la interrompe. – Ha suonato un po’ ovunque. Ed è un ragazzo squisito. Ha però una situazione familiare particolare. Ma non te ne dovrei parlare. Ha una madre tremenda.»

«Hanno problemi con le madri e si fanno le seghe sui piedi.»

«Eh. E non sai quanti.»

«E tu che rapporto hai con tua madre, Alessandro?»

Ridono.

«Grazie per la Nastro. Aprimela però. Anzi, sai che c’è? Ora che Luana se ne va, se vuoi, ti puoi segare sui miei piedi. Ma fai in fretta che fra poco arriva Chiara e ho un’altra dimostrazione. Se però vuoi restare anche tu, Luana…»

«Anche qui, come se avessi accettato. Non mi interessa vedere Alessandro come se lo mena. Mi fa anche un po’ schifo. Ciao Lucrezia. E ciao Alessandro. Ci vediamo la prossima settimana.»

«Sì, cara, fammi dare un’occhiata all’agenda prima. Domani ti chiamo.»

Luana si attarda prima di uscire, si sistema lo chignon davanti allo specchio.

«Ma hai ancora lezione per oggi?» chiede. «Quante ore fai?»

«Viaggio ogni giorno dalle tre alle cinque adepte. Sabato e domenica no però. Sabato e domenica me ne vado al mare.»

«Ma sempre con Alessandro?!»

«Al mare con Alessandro?» scherza prima di risponderle: «No. Diverrebbe sterile. Cambio schiavo ogni giorno, anche due volte al giorno. Ognuno ha i suoi turni e i suoi giorni di riposo. E ALLORA?!» grida d’improvviso. «Alessandro! Cos’hai deciso? Ti seghi o mi rimetto le scarpe?! Va bene, se sei contento tu… Ma fai presto che fra mezz’ora arriva Chiara. Luana cara, io adesso ti saluto. Che non posso alzarmi. Come vedi. – sorride succhiando dalla bottiglia di Nastro Azzurro mentre fa dondolare il collo del piede avanti e indietro tra le gambe di Alessandro, che intanto si smanetta in ginocchio. – Luana cara, fammi un’ultima cortesia quando esci: lascia la porta della camera socchiusa che fra dieci minuti è qui Giulio a prepararsi. Noi quand’è che ci vediamo? Ah sì, è vero. Te l’ho detto, ti faccio sapere per giovedì prossimo alla stessa ora. Ok? Ma portati anche un paio di scarpe: proviamo a calciare non soltanto a piedi nudi.»

«Va bene tacco 12?»

«Come corri, amore, ci arriveremo. Portati le Skechers da ginnastica intanto. – Lucrezia si ferma un attimo, squadra Alessandro con sguardo asettico. Sbuffa. – Ti vuoi muovere? – lo colpisce leggermente tra i testicoli. – Ciao Luana, ci sentiamo domani».

Luana saluta e chiude la porta.

«Ale sbrigati che sono stanca. Ma tu guarda che pallette rosse che hai oggi. Ti abbiamo fatto molto male mi sa. – parla in modo scattoso intervallando nervosamente frasi e birra. – Così, ecco, bravo. Ci sei quasi. Bravo tesoro. Braaaavooo. Ora pulisci tutto però. E lasciami finire questa birra in pace. – gli fa segno di andarsene mentre quello trattiene ancora il suo triste seme tra le dita. – Ci vediamo domani mattina. Lasciami come sempre i soldi nella madia. È stata una lezione grandiosa. Grazie ancora. Alessandro».

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